GMCC Gruppo Missionario Caritas Cassago


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In cerca della propria stella....

Oldonyiro 2001 : In cerca della propria stella


Sinceramente non saprei dirvi la motivazione precisa che mi ha spinto a cercare un’esperienza come questa, ma voglio provare, in queste righe, a trasmettervi le emozioni e i cambiamenti che questo campo di lavoro ha suscitato in me. Probabilmente il bisogno di realizzare qualcosa che ti faccia sentire bene, che ti aiuti a comprendere che ognuno di noi ha tanto da poter dare agli altri ricevendo ancor di più in cambio. Queste tre settimane penso sia impossibile dimenticarle, indubbiamente perché la mia prima esperienza in Africa, e poi… penso mi abbiano lasciato veramente tanto.
Ma cominciamo dal principio, una delle emozioni più forti penso di averla provata all’arrivo a Nairobi. All’uscita dall’aeroporto ho avvertito come un brivido dalla testa ai piedi, come se nell’aria ci fosse qualcosa di magico.
La prima notte l’abbiamo trascorsa in città, e l’indomani di buon ora ci siamo messi in moto per Nanyuki, dove Padre Antonino ad orario Africano ci ha raggiunto per condurci ad Oldonyiro. Tre ore di jeep, lungo una polverosa strada in una vastissima estensione di terra rossa e acacie: "la savana", uno spettacolo che ti lascia senza fiato. Durante il tragitto le prime gazzelle, zebre, babbuini e finalmente, avvolti nel buio equatoriale, intravediamo le luci di Oldonyiro, eccoci a casa! L’arrivo alla missione penso sia stato uno dei momenti più belli, ricco di calore e di ospitalità da parte di chi ci aspettava, e di meraviglia da parte di chi come me per la prima volta si trovava lì. Nonostante la stanchezza del viaggio, la notte nella mia nuova camera è stata un po’ movimentata. Tra pipistrelli e scarafaggi (mai visti di quelle dimensioni) fu impossibile addormentarsi, e il mattino, al risveglio, le mie prime parole furono: "Non sarà mica così tutte le notti!" Ma in realtà fu l’unica.
In settimana la sveglia era alle 7.00 e dopo un’ottima colazione tutti all’opera! I campi di lavoro erano in luoghi diversi, ma il cantiere principale era a Ewaso, dove c’era in costruzione un dormitorio e lì incominciava effettivamente la giornata. Personalmente penso di non essere stata una grande lavoratrice, nonostante la buona volontà in certe faccende mi ricordo abbastanza "impacciata", ma l’importante era provarci e collaborare insieme. A mezzogiorno pausa pranzo, poi di nuovo al lavoro fino alle 17.00 e finalmente il ritorno a Oldonyiro. La cena preparata da Paul, il nostro cuoco, era l’occasione per ritrovarci a tirare le conclusioni della giornata, che non era per tutti uguale; chi alle prese con pale e badili, chi al dispensario a visitare donne, bambini e guerrieri Murani, e chi dietro ai fornelli, a rifare letti e a lavare piatti, il tutto fatto con molto entusiasmo. Questa era la nostra giornata tipo che si concludeva per alcuni in interminabili partite a carte, per altri sul serbatoio, in cerca della propria stella, e per altri ancora immersi dentro a un libro, o a scrivere le proprie riflessioni su questa esperienza africana. E dopo una settimana di duro lavoro, il meritato riposo: la domenica. La prima ricordo in modo particolare; nella chiesa, durante la S. Messa, i bambini con il suono dei loro canti e con le loro danze ti trascinavano in quella sensazione di serenità e pace che si leggeva sui loro volti. Una grande festa di benvenuto per noi uomini bianchi, nella loro comunità: ne rimasi affascinata.
Nei week-end successivi si organizzarono visite nelle missioni vicine, a Kipsing, dove l’anno precedente erano state costruite delle aule per la scuola dei ragazzi e delle ragazze; momento molto atteso da chi l’anno scorso aveva lavorato lì. E Dol-dol, a due ore di strada, dove, dopo un viaggio da dimenticare per alcuni di noi, si sono tenuti i tanto attesi incontri di calcio e di pallavolo. E prima di intraprendere il nostro viaggio di ritorno la visita a Nkabune, dove l’altro campo di lavoro era impegnato nella costruzione di un’ala nuova dell’orfanatrofio. Probabilmente, dopo tre settimane a Oldonyiro, fu impossibile non notare la realtà contrastante tra il silenzio della savana e il clamore di quei bambini senza mamma né papà, bisognosi di tanto amore, che ti saltavano in braccio e volevano solo cantare e giocare con te.
Ed eccoci alla fine di questo racconto, mi ritengo fortunata per avere avuto la possibilità di fare quest’esperienza e di aver conosciuto un mondo completamente diverso dal mio, dove non si corre in continuazione in cerca di qualcosa che a volte neanche noi sappiamo, ma si vive, nonostante la povertà, in serenità, dignità e pace. In questa vacanza ho incontrato delle belle persone, che mi hanno aiutato a riflettere su valori e aspetti della vita che noi troppo spesso dimentichiamo o ignoriamo.
Le sensazioni, gli odori, le emozioni che questo continente riesce a trasmetterti sono veramente qualcosa di singolare e meraviglioso, che solo vivendo in prima persona si può comprendere fino in fondo, quello che qui comunemente viene definito: "mal d’Africa".

Elisabetta



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