GMCC Gruppo Missionario Caritas Cassago


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Oldonyiro 2000

1 L'esperienza del campo di lavoro del 2000
E' davvero difficile poter comunicare quelle che sono state le miriadi di emozioni ed i sentimenti contrastanti che hanno caratterizzato questa nostra esperienza africana.


Non sarà quindi cosa semplice riassumere per iscritto quella che è stata una lezione di vita probabilmente unica ed indimenticabile nel suo genere ed allo stesso modo non e' poi molto difficile rendersi conto che il fatto di poterlo e saperlo fare con ampiezza e lucidità di sentimenti sarebbe una pretesa assurda...che l'Africa la si deve toccare, attraversare, vivere.
Nanyuki: equatore, 5 ore di fuoristrada a nord di Nairobi. E' quella che qui in Kenya si può già definire una piccola città. Srotolata lungo una polverosa strada battuta, appena ci si arriva (per come ci siamo arrivati noi), già non ci si capisce più nulla.





C'è tanta luce che fa quasi male, un "traffico umano" da metropoli, tutti apparentemente indaffarati ed al tempo stesso incuriositi da bwana ("signore bianco", termine swahili per indicare gli occidentali che risale ai tempi dei colonizzatori inglesi). Siamo un po' tutti stravolti dalle molte ore di viaggio fin qui affrontate.
Sostiamo per mettere qualcosa sotto i denti e Lina ci avverte di fare attenzione. Ci sono i bambini di strada che ci aspettano giù dalla jeep e nel momento stesso in cui poggiamo piede su questa terra scottata, ci ritroviamo circondati ed immersi nella loro euforia. "Bilo-bilo" ci dicono vivaci e sorridenti e ci vuol poco a capire che vogliono una biro.
Sono mal vestiti, scalzi ed alcuni di loro ammalati, visto che portano i segni di qualche malattia cutanea sul viso e sul corpo.





Hanno dai 7 ai 15 anni circa ed abbiamo poi saputo che la loro vita sarà molto breve: sniffano la colla, lo fanno per attenuare i morsi della fame e per loro le "bilo-bilo" sono un’ottima merce di scambio.
Dopo una breve sosta a Nanyuki riprende il nostro viaggio, ci sarà molta polvere da mangiare.
Dalla lunga strada principale che conduce a Meru ed Isiolo (vorremmo poter raccontare anche di questi posti che ho visto poi successivamente, ma credo che ci dilungheremmo all'infinito) imbocchiamo a sinistra una strada che ci conduce lentamente fuori dal centro abitato.







Con i mezzi ci fermiamo di fronte ad una sbarra. "Oltre questa sbarra, comincia l'Africa, quella vera".....queste le parole di Stefano, persona navigata in queste terre.
Ed eccola poco più in là l'Africa, subito dopo una ripida e tortuosa collina: il paesaggio immane che si apre davanti e ti lascia senza fiato, con i battiti che aumentano e quel qualcosa che ti sale dentro e non puoi fermare. Cominciava davvero lì l'Africa, con il primo tramonto africano (...non si può descrivere!), sulla stretta e scavata strada per Dol-Dol.
Per raggiungere Dol-Dol la strada é impervia ed il più delle volte in leggera salita. L'ultimo sole, che ha ancora la forza di rischiarare gran parte della volta, cade ora a precipizio.




Sola, la nostra jeep arriva a Dol-Dol un paio d'ore dopo, mentre le altre tre hanno svoltato per imboccare la strada che li ha condotti con anticipo nel luogo che diventerà successivamente, col trascorrere dei giorni, "casa nostra".
A Dol-Dol (2000m) l'aria é pungente. Facciamo il primo contatto con la realtà di una missione; padre Eusebio (filippino forte, frizzante, travolgente) e suor Margherita ci accolgono con entusiasmo. Dopo una breve consultazione tecnico-organizzativa, decidono di seguirci con il loro fuoristrada.
Ci sarà molto da discutere sul da farsi domattina o subito dopo cena. Intorno alle 20 locali, usciti dalla missione, il buio aveva ormai preso il sopravvento e solo dopo, una volta in viaggio, ci rendemmo conto dello spettacolo che con se aveva portato: alzati gli occhi al cielo un senso di vertigine ed estasiata meraviglia colse tutti noi che eravamo per la prima volta in questa terra....le stelle c'erano tutte, ma proprio tutte, non ne mancava nessuna!
Al buio e di notte sulla strada che porta da Dol-Dol a Oldonyiro, non ci si rende più conto di tutto ciò che sta attorno. Lungo la via incontriamo bambini che trascorreranno la notte nel bel mezzo della savana a pascolare le loro capre o i loro dromedari....ci rincorrono e ci salutano : "Jumbo! Jumbo!".




Successivamente, ripercorrendo questa strada di giorno rimanemmo rapiti dai panorami e dalle bellezze dei luoghi incontaminati che si aprono lungo di essa; forse ancor più bella della strada intrapresa poi quotidianamente per Kipsing.
Il nostro primo contatto con la realtà che ci avrebbe poi accolto per il resto della nostra permanenza qui in Kenya, avvenne circa due ore più tardi, una volta arrivati in missione ad Oldonyiro.
La casa e' molto grande ed accogliente, con un'ampia veranda, una cucina spaziosa, e delle camerette da 4 molto carine. Crediamo che anche la casa abbia dato il suo contributo silenzioso alla nostra permanenza. Siamo tutti stanchi, stravolti, ma c'è un entusiasmo palpabile nell’aria, tanti primi commenti e sorrisi ben auguranti.







Ed eccoci alla mattina seguente al nostro arrivo...con il primo sguardo su Oldonyiro, padre Rudy (anche lui filippino e dallo splendido sorriso), Mwangy, Daniel, Julius, tutti gli amici della missione e soprattutto, poco più tardi.…Kipsing, i bambini di Kipsing, la luce di Kipsing, la polvere, la povertà, la speranza, gli spazi di Kipsing. Kipsing.......
Di buon'ora quindi ci siamo messi in marcia sempre sui nostri inseparabili fuoristrada, verso Kipsing appunto. Eccola la strada per Kipsing: la strada degli elefanti alle prime luci dell'alba, il monte dei leoni, il monte battezzato "la tetta", le giraffe, le gazzelle, i fagoceri, le zebre ed i primi squarci di Rift Valley a lasciare senza fiato.
Kipsing é terra bruciata oltre la quale nulla viene più possibile poter immaginare ; in un certo qual modo qui tutto termina e subito poco più in là comincia la Valley e l’unica presenza immaginabile é quella degli archeologi americani che cercano tutt'oggi le tracce di ciò che e' rimasto della più antica presenza umana sulla terra. I bambini della scuola ci aspettano: cantano e ballano disposti su due file a creare una pista di decollo o atterraggio. I primi due sorreggono un cartello...."Wageni Karibuni Kipsing" (benvenuti a Kipsing).








Ci invitano ad attraversare quell'ipotetica pista di benvenuto, e ballano, cantano...e mentre passiamo fra di loro stringendo le loro mani protese, uno scorpione (tanti ne ho abbiamo poi trovati sotto i massi di questo luogo) ci morde la gola e ci strozza il fiato fino quasi a farci maledire noi stessi per le tante cose per cui abbiamo da maledirci.
Ma come!...questa gente che vive in baracche fatiscenti, fatte di argilla e stracci, di niente e poi niente, ci sta mettendo alle corde con la sua spontaneità sovrumana, noi evoluti ed acculturati signori dell'invidiata razza occidentale.
Ed ora eccoli i bambini di Kipsing: indossano gli abiti Samburu e saltano e ballano a piedi uniti cantando in nostro onore sotto un sole cocente, ci leggono le loro poesie e si stringono in tanti intorno ad ognuno di noi prendendoci tutti per mano.
Per le quattro settimane successive, Kipsing divenne il luogo del nostro lavoro quotidiano, il quale, come da programma, consisteva nella costruzione alcune nuove aule per la scuola, la ristrutturazione dei bagni riguardanti gli alloggi dei ragazzi e delle ragazze, l'installazione di un impianto elettrico presso il refettorio della scuola stessa.


Alla mattina la sveglia ...

CONTINUA




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